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Visualizzazione dei post con l'etichetta Jazz e parole

It's just jazz

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È solo jazz - pazzo passo di gatto nero, sul tetto - solo jazz. Sta nel tempo, salta, e poi al trono del tempo torna vicino a quella voce nera, di matrona. Tu soffia e aspira nell'armonica, nature boy, di te si dirà, lo sai, poi ch'eri troppo giovane per quei sudori ch'eran sogni quei tuoi amori ma che hai piegato bene alla vita dello strumento la voce e delle stelle il canto a quel tuo inespresso pianto. 

Just Jazz

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Foto di Sergio Daniele Donati Mani che masticano note sul piano, come cicche rosa in bocca a un bambino e uniscono sguardi, troppo timidi per staccarsi dal bicchiere. Avrei dovuto dirti il mio amore allora? Forse, ma la linea del basso mi portava via, indietro; e qualche “yeah” del pubblico mi strappava un sorriso. Ti presi allora la mano e la spatola sul rullante segnò una carezza tra i nostri desideri. “Once again” altri avevano parlato per me e potevo cullarmi all'idea che fosse il silenzio a unirci. Furono invece dolci parole non dette; bemolle sottili, resine nei nostri bicchieri.

Un dolce ricordo (Nature Boy 2)

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Che poi, finché l'armonica resta nel taschino della giacca di jeans, possono brillare come stelle i tuoi occhi. Ma non avranno suono. Devono cadere a terra le stelle per illuminare i volti. E tu i tuoi sogni li porti ancora nel taschino. Li lasci volare di notte, quando nessuno li ascolta, nella stanzetta. Li lasci parlare di mondi desiderati e mai visti. Che l'amore, Nature boy, si immagina a lungo prima di viverlo. Sopratutto a sedici anni. Lo si porta in giro a quell'età l'amore, Nature Boy, strascicando i piedi. Distratti, portati lontano da un solo pensiero. Dentro al taschino della giacca di jeans, forse troppo larga, l'armonica aspetta il suo turno. E entri in quel bar, strascicando i piedi e i tuoi sogni, e l'armonica sempre nel taschino della giacca di jeans. E ordini una coca e ascolti. Sono bravi suonano bene il blues. E ti brillano i sogni negli occhi e vibra l'armonica nel taschino. “Ti ho sentito suonare nel vicolo”, ti dice il vecch

Take my hand (ispirata a “Insensatez” di Antonio Carlos Jobim)

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Antonio Carlos Jobim Battono e levano, ormai nel sogno,  i balzi del cuore  un ritmo sincopato.  Peso di foglia, di piuma,  son nel muschio umido del ritiro  parole ritrose.  Irrorano semi celati  anche all'occhio del cercatore  più avido.  Eppure le mani fremono;  mani vissute, piccole,  scorticate.  Incapaci di trovare tasca,  implorano il ritorno  di ciò che mai fu  E saltella, svolazza e plana  su acque evanescenti  l'anima di chi spera. 

Il pugile (ispirata a: Gioco d'azzardo di Paolo Conte)

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Schiva, schiva, para, schiva e colpisci.  Montante basso, para, schiva, schiva ancora. E saltella, danza, cambia guardia, resta al centro del ring, attacca, danza ancora. Diretto, gancio, diretto. Alza la guardia, esci dalle corde, schiva. Colpisci ora. Colpisci...ora. E nella testa quel ritornello, piazzato sotto l'arcata sopraccigliare ormai rotta: “io parlo di me, di me che ho goduto, di me che ho amato e...” Attento, para, ora entra nella sua guardia. Uno, uno, due. Uno. Saltella. Al corpo, al corpo, senza sosta, senza pietà, toglili il fiato. “...e che ho perduto” Gancio, gancio, diretto, gancio. Non fermarti. “Adesso è tardi e dico soltanto...” Cambia guardia ancora, il sudore ti brucia nel sopracciglio. Non importa, mordi, attacca, attacca, non dargli sosta. “...che si trattava d'amore” Diretto, diretto, gancio, montante, diretto. E' a terra. ….sette, otto, nove, dieci “...e non sai quanto”