(Redazione) - Una nota di lettura alla silloge di Davide Rocco Colacrai "D come Davide" (Le mezzelane Casa Editrice, 2023) - di Sergio Daniele Donati
Può la poesia divenire atto confessorio? Ancor meglio, può l'intenzione di un poeta essere quella di usare il verso per confessare sé stesso a sé stesso? In realtà la domanda ha una ben banale risposta, prima facie . Ogni parola che sorga dalle nostre intime profondità ha un contenuto confessorio perché porta con sé tutti i detriti, le tracce e le radici del suo percorso di emersione, anche quando finge. Dico banale perché in questa risposta si omette di parlare del dato volontario, di una scelta confessoria e si evita di tracciare una cosa del tutto evidente: ogni confessione suppone la commissione, almeno simbolica, di un reato di qualcosa che viene percepito a lungo come da nascondere e poi emerge in tutta la sua potenza. Al di là delle deviazioni e imprecisioni di linguaggio dei tempi moderni, ciò che percepiamo come bello di noi, non lo confessiamo mai. Semmai ne parliamo. Lo celiamo se siamo ritrosi, lo mostriamo se non lo siamo. Il bello non si confessa, si dice . La co