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Da "Midbar" (di Raffaela Fazio - Raffaelli Editore, 2019) - 05 - Un popolo (il canto di Mosè)

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  Raffaela Fazio     “Mosè disse al Signore: « Perdona, Signore,  io non sono un buon parlatore;  non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo,  ma sono impacciato di bocca e di lingua »” (Es 4,10). Quante volte ti ho guardato             dall’insonnia come si cerca di tenere insieme nella mente una parola e invece quella si spezza nel chiarore                    balbuziente. Quando la voce sogna riunisce il gregge dei suoi suoni e il tempo le obbedisce. Ma tu, popolo mio ti spargi come il mio nome confuso si divise tra il seno e il fiume il trono e poi il deserto. Adesso          in te esco dai miei confini. E non rinuncio perché ti vedo: sei tu, popolo incerto che mi pronunci                  passo a passo. Infinito, incompiuto il cielo ci presta un tetto provvisorio come il palato su cui la lingua batte           e sfiora il senso. ______ Nota dell’autrice Nella Bibbia, la fragilità umana è il luogo privilegiato dell’

Da "Midbar" (di Raffaela Fazio - Raffaelli Editore, 2019) - 04 - Come colombe alle colombaie

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Raffaela Fazio Come colombe alle colombaie Non hanno fretta le nubi che tornano al mio monte. Su loro non incombe il tempo da voi temuto: vengono a me come colombe alle colombaie. Se una si perde non la riporto alle mie pendici. Le offro il buio in cui fare pace con la fatica e lo spazio che ancora l’invita. ________ NOTA DELL'AUTRICE   Tra le tante immagini dell’Eterno che accoglie, mi piace questa della montagna fedele alle sue nubi, fedele a ciò che è transitorio e fugace e in parte inconsistente. Nel tornare alla montagna, ogni nube sente di rincasare come fa una colomba che rientra nella colombaia.  Non c’è fretta però, perché l’Eterno non impone né tempi, né scadenze, non comanda, non si sottrae. La sua presenza non muta.  E il dono maggiore della montagna non è la sicurezza dell’approdo: è il buio, è il mistero nel quale avviene la vera crescita e si dispiega la vera libertà, che rende l’essere umano capace di sopportare la propria fatica e, insieme, dischiude per lui nuovi

Da “Midbar” di Raffaela Fazio (Raffaelli Editore, 2019) – 03 – L’Albero e la Donna

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    In origine - L’albero Ancora sento il canto degli albori. Nella mia chioma il buio soffiando su se stesso non si separa dalla luce.           Come fossi l’unico rimasto privo di confine nel gioco del creatore.           Io - l’indistinto non ho nome e nessun vuoto mi misura. Eppure ho nostalgia di una lentezza mai esistita dall’occhio che mi volle alla mano che fu subito bocca.           Io sono l’albero-frutto           succoso           in tutte le mie parti. Da me si passa per morire. La donna lo sapeva: per generare barattò l’eterno con la storia s’iscrisse nella fine e offrì un inizio. Ora si porta dentro il bene e il male uniti come un primordiale abisso. Tra lei e il mondo non c’è più distanza non c’è solo visione ma un gusto sempre nuovo di coscienza - sapienza del dolore. Il suo peccato? La fretta nell’avermi: non attese davanti al desiderio e non ne condivise la lotta il necessario incanto. Io sono la camera oscura di un possesso sfalsato. Sono la memoria di un sapor

Da "Midbar" (di Raffaela Fazio - Raffaelli Editore, 2019) - 02 - Agar

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  “ Abramo si alzò di buon mattino, prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar, caricandoli sulle sue spalle; le consegnò il bambino e la mandò via. Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’acqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il bambino sotto un cespuglio e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco, perché diceva: «Non voglio veder morire il bambino!». […] un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del bambino là dove si trova […]» Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua ” (Gn 21,14 ss). Non sento più l’urto dell’acqua nell’otre né sotto il calcagno il cammino. Il passo è vinto dal deserto. Ti guardo, sei il pegno di tutto il dolore. Non sento più l’orgoglio che mi perse. Tu riposa all’ombra del cespuglio non gridare. Non sento più cos’è essere madre. Solo il dovere di far finire il giorno - finzione di una meta? No, più niente. Perché allora riaffi

(Redazione) - Lettera aperta di Sergio Daniele Donati a Raffaela Fazio: su «Parlerò io - Il canto di Giobbe» di Raffaela Fazio Tratto da Midbar (Raffaelli ed., 2019)

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  E quel tuo imperativo iniziale , quel tuo ricordati, quel tuo ebraico  זכור (traslitt. " zahor"), richiamo alla memoria, è canto antico , sai? Ché l'uomo nasce nell'oblio e all'oblio aspira e la memoria è, appunto, monito, impegno e fatica: nulla di meno naturale: Nous sommes nés pour effacer les traces  de la mémoire sous la neige de l'oubli. Juste une voix lointaine, c'est ça le passé; juste une lueur dans la nuit; c'est ça le parfum âcre de notre avenir. Io non so dirti il perchè di queste mia parole in francese, né la ragione delle lacrime che la lettura del tuo testo mi ha dato, ma so che tu ricordi e, senza saperlo,  fai tue le memorie del deserto che mi ha formato.  In quel מִדבָּר (traslitt. "midbar), fucina di ogni parola, di ogni elevazione e di ogni trasformazione, io mi spezzai le ossa per poter rinascere, servo felice della stessa parola.  Fu in quel deserto di sogno che sentii il  canto della Moabita farsi strada nei miei midolli

(Redazione) - Su due sillogi di Francesca Serragnoli (nota di lettura di Sergio Daniele Donati)

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Facciamo un gioco. Fingiamo di non conoscere Francesca Serragnoli,  la poeta di cui oggi parleremo, di non aver mai letto le sue composizioni e di non aver altro da fare che tuffarci nella tessitura di testi a noi sconosciuti.  Facciamolo col serio sorriso del bambino quando gioca, con la precisione appassionata dell'orafo quando deve comporre preziose gemme in un solitario.  In questo gioco tra me e voi, lancio il primo dado .  Convivo con la pioggia un brivido issarmi per un filo arrivare al vento slacciare il profilo come un petto. 1 Vedete anche voi con quale maestria la poeta abbia fatto poggiare il verso d'esordio su quello che lo segue e quanto questa serie di incalzanti infiniti proietti l'attento lettore verso una domanda che prende sempre più corpo? Quale azione seguirà? La poeta non lo dice e lascia all'ultimo infinito ( slacciare) un senso profondo di dinamica, di sfilacciamento, che ci fa dire la composizione volutamente non conclusa e sospesa. Secondo dado