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(Redazione) - Genere In-verso - 18 - Fantasmi di donne: da confinare, ghettizzare, allontanare, condannare.

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  di David La Mantia Aldilà delle figure mitiche delle arpie, delle sirene, delle Streghe, delle befane, esistono altre figure femminili disturbanti? Concentriamoci sugli spettri di donne. Un modo per esorcizzare la paura del cosiddetto sesso debole , proprio perché tutt’altro che debole?  Un modo per confinarla in un angolo?  Non ho risposte certe, ma di sicuro esistono tanti fantasmi al femminile nella nostra tradizione culturale. La Dama Bianca, ad esempio, è una figura misteriosa e complessa, da alcuni ritenuta una fata, per la maggior parte un fantasma. Si mostra in genere vestita di bianco nella notte, camminando lentamente con le vesti ondeggianti ad un vento impercettibile; ama per lo più i luoghi solitari come i boschi, le radure, i prati e le brughiere, ma non disdegna i cimiteri di campagna ed i sentieri degli antichi castelli, apparendo tra i merli delle mura.  I poemi cavallereschi, le antiche cronache narrano le sue frequenti apparizioni, tanto che si r...

(Redazione) - Muto Canto - 20 - Medea, figlia di Eete e di Ecate

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  di Anna Rita Merico    Delle infinite riscritture della tragedia, come genere. Delle altrettanto carte vergate intorno e dentro Medea. Di come la lettura di un testo sia spazio e tempo di stratificazioni. Di una verità di Ghiannis Ritsos commentata in calce a questo testo.   Foto da rete: Maria Callas in Medea di Pasolini (1969); Valeria Moriconi in Medea di Franco Enriquez (1972); Kirsten Olesen in Medea di Lars von Trier (1988); Melina Mercouri Scartabellando 1 in una passata sceneggiatura di Carl Theodor Dreyer 2   abbiamo trovato notizia di una Medea monologante con la natura e con sé.  Medea, forza eccessiva, nuda, metafisica staccata appena da un essenziale paesaggio del Nord cui Kirsten Olesen ha dato forma attraverso sguardi scarni impastati di azzurri freddi e iridescenti acquitrini. Medea feroce e struggente divinità. Abbiamo sentito in un altrove Maria Callas e Melina Mercouri e Valeria Moriconi 3 che, pure, avevano conosciuto Medea prestand...

(Redazione) - Specchi e labirinti - 33 - Su “Quando gli alberi erano miei fratelli" di Guglielmo Aprile (Tabula Fati, 2024)

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di Paola Deplano Prediligo i libri di poesia che gravitano attorno ad un solo argomento, poiché indiziano una progettualità poetica che non sempre le sillogi multiformi hanno. Queste ultime, in tanti casi, sembrano seguire un estro momentaneo e disordinato del loro autore e lasciano il lettore a chiedersi perché dovrebbe continuare a leggere tutto ciò. I libri di liriche monotematiche, al contrario, sono giocoforza più ponderati, distillati da un adeguato tempo di scavo interiore e sono maggiormente soggetti alla limatura espressiva, da sempre ottima amica dell’ottima poesia. Ecco, Quando gli alberi erano miei fratelli , di Gugliemo Aprile (Tabula Fati, 2024) appartiene a questa seconda categoria. Il tema centrale è ovvio, sin dal titolo: una passeggiata nelle multiformi potenzialità del canto poetico applicato a figure arboree. In questo, Aprile non è l’unico, ma è in ottima compagnia. Di primo acchito mi viene in mente uno dei più grandi poeti italiani viventi, Umberto Piersanti, da ...

(Redazione) - Estratto dalla raccolta di Luigi Finucci "La prima notte al mondo" (Seri Editore, 2024) - con nota di lettura di Sergio Daniel Donati

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  Quando scrittura e simbolo incontrano i territori del silenzio e della diluizione dei significanti è necessario un grande sforzo sia per il poeta che per il suo lettore per mantenere schiena dritta e orecchio teso  all'ascolto di ciò che si esprime spesso con sussurri appena accennati. Occorre poi avere tra le proprie mani (qui parlo del poeta) un pennino fine (o un extra-fine) capace di dire nel sottile tutto ciò che nel fiume in piena dell'esistente sfugge.  Quando, in altre parole, all'onda del flusso di parole che necessariamente attraversa il poeta viene applicato il setaccio, quasi sacro, dalle maglie strettissime, di un discernimento antico, si è in presenza di una poesia che aspira all'altezza, alla verticalizzazione e al ritorno, con diversa coscienza nel Regno del Silenzio. Appare a chi vi scrive che questo sia senza dubbio il senso profondo del versificare di Luigi Finucci , come emerge nelle stupenda raccolta La prima notte al mondo (Seri Ed., 2024) opera ...

(Redazione) - Figuracce retoriche - 26 - Chiasmo

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    di Annalisa Mercurio Silenziooooooo! Non fate tutto questo chiasmo che mi devo concentrare! La figura retorica di oggi è la mia croce! Infatti, chiasmo deriva dal greco χιασμός : in greco chiasmós, da chiázō, “cioè dispongo in forma di χ”, ma attenzione! ⚠️ Infatti, la ventiduesima lettera dell’alfabeto greco non si legge “ics”, ma “chi” (per questo si chiama chiasmo e non icsasmo!) Perché prende il nome da questa lettera? Direte voi, e prima di sapere di cosa si trattasse me lo chiedevo anch'io. Allora ragioniamo: cos’ha di caratteristico questa lettera? È formata da due diagonali incrociate e, se la tagliassimo a metà nel suo punto più stretto, avremmo una “V” nella parte superiore, e nella parte inferiore una “V” capovolta a specchio. Questa peculiarità fa sì che sia perfetta per rappresentare il chiasmo, figura retorica che prende due elementi generalmente disposti parallelamente e li ricolloca secondo uno schema incrociato, a specchio, per esempio in poesia un verso...

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 40 - Piccole riflessioni laterali sull'etica della parola (prima parte)

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  di Sergio Daniele Donati I A ben vedere, non c'è una grande distanza tra scrivere poesia e osservare del respiro le apnee.  Ogni tentativo di scrittura si situa sul sentiero stretto tra l'esperienza della vita e la sua rielaborazione mediata.  Eppure chi scrive sente necessariamente vibrare tra i suoi segni un afflato vitale che traduce – come può – nei lemmi che poi elegge come degni di posarsi sulla carta.  E ogni tratto di scrittura allo stesso tempo crea mondi e vive l'entropia del limite congenito della parola.  Di questo è ben cosciente il poeta che sa che non esiste lettera che non celi in sé una chiave di nascondimento e, allo stesso tempo, un significante  che in un certo senso non ne nasconda un altro; mille altri. Ciò che spesso viene chiamato stupore , quindi, in poesia altro non è che una sorta di fermata, un momento di stasi che ci permette di stare in contatto con la parola , sia quando scriviamo che come lettori.  Ovviamente ci sono p...

(Redazione) - Dissolvenze - 39 - Larua

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  di Arianna Bonino Foto di Arianna Bonino Larua Chi sono non so dirti, se mi chiedi. Esuvia la mia pelle ogni mattina e fuggo con il passo di faina mostrando al più le impronte dei miei piedi. Perché io bramo allor occhio che predi sfocata la mia immagine in sordina – come sull’erba all’alba fa la brina – per poi sottrarmi invece a quegli assedi? Forse pupille altrui fanno da specchio a me restituendo me, che guardo, per questo le titillo, le punzecchio? Ma se verso la luna punto un dardo, se fingo di spogliar più d’uno spicchio, lei con mia voce dice: “Sei in ritardo e d’animo codardo: tu temi di scoprirti già fantasma, né forma né sostanza, glauco plasma.”

(Redazione) - Passaggio in Grecia (Το πέρασμα στην Ελλάδα) - 05 - “Quella non ero io”: su "Era una nuvola" di Anne Carson

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    Di Maria Consiglia Alvino     Un bluff, un espediente, un imbroglio, una trovata, un gioiello di pensata. La verità è, che una nuvola andò a Troia. Fidatevi, Elena non è mai andata a Troia. È stato tutto un bluff. Al suo posto, ci è andato un eidolon , un fantasma o un doppio, come volete. Ce lo aveva già raccontato Euripide nella sua Elena (412 a.C.), seguendo a sua volta una versione del mito testimoniata da Stesicoro, Platone ( Fedro e Repubblica ) e dagli encomi di Gorgia e Isocrate; secondo questa tradizione “ apologetica ”, a Troia era andato un simulacro della vera Elena, finita, invece, per volontà degli dei e della Fortuna, in Egitto. È, questa Elena nascosta, una sorta di altra Penelope: fedele al marito, ma vittima della sua stessa bellezza e dell’odio causato dal suo doppio. Dalla nuvola, per l’appunto, per cui muoiono schiere di eroi e Troia è distrutta. È su questa scia che si colloca anche l’opera di Anne Carson, una delle voci più originali della...

(Redazione) - Fisiologia dei significanti in poesia - 08 - Greifen poetico: Greifen corporeo (parte II)

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  di Giansalvo Pio Fortunato   Parte II Delineare un insito parallelismo tra Greifen [1] corporeo e Greifen poetico o, meglio ancora, intendere anche semplicemente il Greifen per la poesia implica l’ammettere esplicitamente che la poesia sia un atto corporeo. Un atto corporeo che, nel dettaglio, si tesse nell’operatività reale del corpo, nella sua fenomenologia, nella sua attitudine strettamente percettiva. In tali termini, prima di proseguire nell’analisi, va precisato il senso con cui ci si riferisce al fisiologico . In quali ambiti – per intenderci – noi collochiamo il fisiologico e, conseguentemente, in quali termini la prensione poetica è fisiologica. La descrizione del Greifen – ed è abbastanza evidente – ha poco di fisiologico propriamente detto e molto di fenomenologico. Battere su questo chiodo non ha come intento il dare vigore alla fenomenologia (non è questo né il luogo, né l’ambito in cui discuterne), ma significa porre un orientamento interpretativo. Un ori...