Tra jazz e perdono di sè stessi (piccole parole domenicali)
Foto di Patrick Fore su Unsplash Quando si rompe un’alleanza o si vive un lutto o si rompe qualcosa che poggiava sullo sguardo reciproco, sull’accoglimento delle altrui fragilità e tenerezze, sull’infatuazione per le incapacità dell’altro, di dire, fare, lettera e testamento, il silenzio che si crea – quello spazio vuoto ormai privato di comunicazione - non è più Dom , l’austero silenzio d’attesa che precede ogni solenne creazione, anche e soprattutto quella divina. Ma non è nemmeno Demam ah il silenzio sottile, quasi una voce impercettibile, declinata al femminile, che indica la via a coloro che hanno chiuso le orecchie e lo sguardo sulle vertiginose altezze dell’esistenza. Forse è Lishtok (infinito verbale) che indica una sorta di silenzioso zittimento e sbigottimento, come quello che provò Aronne – proprio lui, l’oratore, l’uomo della parola, fratello e consigliere di Mosè, il balbuziente – quando la volontà divina gli incenerì davanti agli occhi i due figli. Ci si tacita per