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(Redazione) su "Auschwitz" di Yehuda Amichai

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Dopo Auschwitz non c'è teologia: dai camini del Vaticano si leva fumo bianco, segno che i cardinali hanno eletto il papa. Dalle fornaci di Auschwitz si leva fumo nero, segno che gli dèi non hanno ancora deciso di eleggere il popolo eletto. Dopo Auschwitz non c'è teologia: le cifre sugli avambracci dei prigionieri dello sterminio sono i numeri telefonici di Dio da cui non c'è risposta e ora, a uno a uno, non sono più collegati. Dopo Auschwitz c'è una nuova teologia: gli ebrei morti nella Shoah somigliano adesso al loro Dio che non ha immagine corporea né corpo. Essi non hanno immagine corporea né corpo. di Yehuda Amichai  BREVE NOTA CRITICA Questa di Yehuda Amichai, sommo poeta israeliano, è a mio avviso la prima (in senso temporale e di importanza) riflessione poetica sul significato di Auschwitz, non tanto nello strazio di un popolo costretto a ridefinirsi attorno alla somma assenza di D.o,  quanto su un riflesso (si riflette su un riflesso, si), simile a q

(Redazione) Lo spazio vuoto tra le lettere - 03 - "La guerra è l'elaborazione paranoica d'un lutto" (Fornari, Lacan, Amichai e Ungaretti)

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di  Sergio Daniele Donati “La guerra è un'elaborazione paranoica d'un lutto” dice lo psicoanalista Franco Fornari  nel suo indimenticabile saggio “Psicoanalisi della guerra” (1966) 1- 2 La frase può apparire criptica e sicuramente merita più profonde riflessioni di quelle che questa rubrica può offrire. Ad un primo livello sembrerebbe dirci che, sia per gli individui che per i popoli, guerra e conflitto sono la risposta esteriorizzata ad un dolore e lutto che si è incapaci di elaborare all'interno di sé.  E questo, sempre secondo Fornari, avviene secondo "dinamiche" che apprendiamo in età evolutiva e trovano radice nella paura della perdita della madre.  Il neonato, in altre parole, sente l'esigenza della madre, fonte di vita e nutrimento, per sopravvivere. Questo gli fa percepire una sorta di sdoppiamento perché la persona che gli dà la vita è in grado con la sua assenza,  anche eventuale, di dargli la morte.  Tende dunque, per sopravvivere a scindere le due

Dialoghi poetici coi Maestri 26. - Dialogo a tre ( Yehudah Amichai, Erez Biton ed io)

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Deserto del Negev Durante un viaggio verso Arad, il grande poeta israeliano Yehudah Amichai e il superbo poeta non vedente Erez Biton si ritrovarono nelle colline del deserto del Negev. Erez chiese a Yehudah di descrivergli il paesaggio del deserto. Amichai prese allora la mano di Biton nella sua e tacque. Nel 2010 Biton pubblicò una poesia in memoria di quell'istante di scambio silenzioso, cui rispose poi Yehuda Amichai col testo che sotto si riporta. Ho immaginato spesso di assistere a quell'incontro; anzi penso di avervi davvero assistito. ________ Erez Biton Dire il deserto (dedicato a  Yehudah Amichai) La tua mano taciturna Ha abbozzato davanti a me Oasi nel deserto Verde su verde. Come vasi comunicanti Una mano tocca l’altra. Sono passati attraverso i tuoi occhi A me La grandezza del dire E la meraviglia Del roveto ardente. (Erez Biton-2010 trad Sarah Kaminski, Università di Torino) ____ Yehudah Amichai Una volta ho viaggiato lungo il Mar Morto con un poeta cieco. Vo

Dio è coricato di Yehuda Amichai

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Foto di Sergio Daniele Donati Dio è coricato supino sotto il mondo Sempre impegnato in riparazioni, sempre qualcosa si guasta Avrei voluto vederlo per intero ma vedo Solo la suola delle sue scarpe e piango ( Yehudah Amichai ) Sono lieto di ospitare su Le parole di Fedro una splendida poesia di Yehuda Amichai, la cui ironia e gioco simbolico non smette mai di colpirmi. Ne consiglio la lettura ascoltando la musica del video allegato. A una Trascendenza che si cela la mistica ebraica ci ha abituato, ma solo una penna eccelsa come quella di Amichai poteva scorgere i motivi di questo nascondimento, la Sua occupazione a riparare eternamente il mondo che creato. Un elogio tenero dell'imperfezione creativa. Un elogio anche dell'umano, che in questa poesia ancora più si nasconde.