(Redazione) su "Auschwitz" di Yehuda Amichai
Dopo Auschwitz non c'è teologia: dai camini del Vaticano si leva fumo bianco, segno che i cardinali hanno eletto il papa. Dalle fornaci di Auschwitz si leva fumo nero, segno che gli dèi non hanno ancora deciso di eleggere il popolo eletto. Dopo Auschwitz non c'è teologia: le cifre sugli avambracci dei prigionieri dello sterminio sono i numeri telefonici di Dio da cui non c'è risposta e ora, a uno a uno, non sono più collegati. Dopo Auschwitz c'è una nuova teologia: gli ebrei morti nella Shoah somigliano adesso al loro Dio che non ha immagine corporea né corpo. Essi non hanno immagine corporea né corpo. di Yehuda Amichai BREVE NOTA CRITICA Questa di Yehuda Amichai, sommo poeta israeliano, è a mio avviso la prima (in senso temporale e di importanza) riflessione poetica sul significato di Auschwitz, non tanto nello strazio di un popolo costretto a ridefinirsi attorno alla somma assenza di D.o, quanto su un riflesso (si riflette su un riflesso, si), simile a q