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Cambiamento e angoscia

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"Il cambiamento" di Sergio Daniele Donati Il Saggio coltiva il cambiamento  come un frutteto nascosto ne raccoglie i frutti  e interra i semi  con gesto lento. A me, che saggio non sono,  il cambiamento pare  una screziatura,  una fessurazione dell'Altrove  da cui colano  parole di silenzio  su pergamene vissute. A me, che non conosco la pazienza del contadino, né sono saggio, il cambiamento pare  una preghiera  a un cielo che ride  delle mie più antiche angosce.  Io non creo, né trasformo: prego che il cambiamento  si manifesti nella lingua dei miei avi, e copra d'un velo spesso i miei volti inadeguati a farne fiorire la memoria. O forse saggio fui da piccolo, quando attesi a dirmi ebreo, sino al giorno in cui  quel Maestro mi spiegò che nel mio nome era scritto  chi fosse il mio Giudice.  Allora iniziò il cambiamento e mi dissi ebreo; e fu una rincorsa verso gli odori del tempo perduto....

Lo chiamano cambiamento

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Lo chiamano cambiamento. E fanno bene.  Perché è la parte inferiore del viso a manifestarne per prima la presenza.  Lo chiamano cambiamento e fanno male.  Perché, a furia di chiamarlo, viene nascosto dalle nostre aspettative. Il cambiamento che invochiamo quando non ci stiamo più dentro è fumo negli occhi.  E quello vero, invece, è una preparazione lenta del terreno.  Sono sguardi fissi sul futuro, mani scorticate, nocche dissanguate cercando gemme tra le dure pietre del terreno. E pianti. E silenzi e silenzi ancora. Il cambiamento sono notti insonni passate a pregare un Dio che si cela perché ci dia la forza di poterci definire ancora uomini.  E urla e grida dall'angolo in cui ci troviamo richiusi, perché ci mostri una via d'uscita. E poi un giorno, senza nemmeno rendertene conto, ne sei fuori.  E scendi al bar, e ordini un cappuccio. E la barista ti guarda e ti dice: cos'hai oggi? Sei diverso. E tu la guardi e non sai che dire. Perch...