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Visualizzazione dei post con l'etichetta ebraismo

Alef-Bet e Perdono - Ayin (ע) e Pe (פ)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Se rivolgiamo uno sguardo adulto al mondo ( soprattutto delle relazioni ) il primo elemento che risalta, luminoso e terrificante, è la sua imperfezione. Le sue crepe e intoppi e faglie sono così grandi che il solo osservarle rischia di farci cadere in un abisso senza fondo. Ma qualcuno ci ha donato un occhio mobile e un cervello capace di rielaborazione. E allora la seconda cosa che notiamo del mondo (sopratutto delle relazioni) è la sua tenuta. Faglie e crepe e varchi profondi come ferite non impediscono all'uomo di continuare a trasmettere speranza. Perché? Perché l'uomo non cerca solo la verità storica e statica delle cose. Se ci avessero donato occhi e bocca (le Ayin ע e le Pe פ dell'alfabeto ebraico) solo per descrivere il mondo come è, ci sarebbe bastata una vista monoculare, da ciclopi. E la nostra funzione nel mondo sarebbe stata ben triste. Scribacchini, magari eruditi e colti, del limite, nostro e dei nostri simili. Nella...

Lamed (in tre versi)

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Tra il trono e l'abisso il cuore del Maestro insegna passi di ritorno. 

Kaf (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Prende, trattiene e assimila altrui parole e silenzi la corona della saggezza.

Het (in tre versi)

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  Disegno e  foto di Sergio Daniele Donati Lo chiederà a te il cambiamento,  e tu sorridi, chi non ha coraggio,  né un passo bambino verso la Porta di Fuoco

Lettere ebraiche

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  Foto di Sergio Daniele Donati Ogni tanto è utile porsi la domanda sul proprio planare attorno a un argomento. Che si tratti di studio, racconto o percorso poetico, insegnamento o altro, è evidente che lo Alef-Bet ha plasmato la mia forma mentis e continuo a pormi la domanda del suo valore (anche etico) nello sviluppo del mio pensiero. Ma queste sarebbero valutazioni e riflessioni destinate ai miei soli cassetti (che ne sono pieni) se non percepissi che lo Alef-Bet è portatore di un valore universale trasmissibile. Anzi, solo quando (e in quanto) trasmessi i significati anche simbolici delle lettere ebraiche acquisiscono luce propria. Le lettere ebraiche non sono trattenibili, così come non si può imprigionare il vento. Se ne può (e, a mio avviso, si dovrebbe) ascoltare il suono di lontano e lasciare che questo ci trascini verso paesaggi in parte sconosciuti. Ovvio, io vengo da una famiglia di tradizione ebraica e, quindi, le lettere dello Alef-Bet sono state le mie compagne sin d...

Lech Lechà (della parola)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Parole profughe, devastate da incagli e maree, suoni stentati e gutturali, attaccati a fili di ricordo, terre e madri respingenti, parole naufraghe, umide, strozzate e mute trovano rifugio in terre lontane, sedimentano in suoli stranieri, radicano in steppe sconosciute e germogliano là sotto soli diafani e inumani. Là sorge il verbo, lontano dai propri armenti, dai propri canti e dai propri idoli. Nello strazio della memoria danza la parola e salmodia il Patriarca; armonie che scardinano portoni di rifiuti e depositano gemme e rami d'ulivo su limi melmosi. Parole deportate, sdentate che si aprono in sorrisi a un mondo che tace e dispongono libri (per autore) sugli scaffali della stanza azzurra della speranza.

Noah (Noé)

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Noè - Mosaico ... poiché ti vidi Giusto avanti i miei volti in questa generazione ( Genesi - Noè ) Ti disse Giusto avanti i suoi volti e ti permise la speranza. E non furono i diluvi nella storia a estirpare fuochi empi dagli occhi dell'uomo, ma da allora ogni nostro futuro ha origine nell'incaglio delle nostre case mobili e girovaghe tra le rocce del Monte Ararat.

La danza del vecchio

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    Sibelius Violin Concerto - Maxim Vengerov, Daniel Barenboim È un vecchio. Porta la barba bianca e cammina per le vie del ghetto. Lo sguardo allucinato. E ferma i passanti, tenendoli per il braccio. Una stretta forte. "Dov'è?", chiede "Dov'è l'anima mia". Poi si china a terra e sbatte i pugni sulla terra. Secca. "Dov'è l'anima mia?”, ripete. La gente lo guarda, impietosita. La gente lo guarda. Impietrita. Il vecchio si alza, lo sguardo verso il cielo. “Dov'è l'anima mia”, urla. La gente non sa cosa fare, cosa dire. Guarda il vecchio con gli occhi velati di lacrime. “Dov'è l'anima mia?” Mordi, il violinista arriva da lontano. Strascicando i piedi.  Coi suoi occhialini tondi e la barba incolta color di cioccolato. Il vecchio scuote la testa come a dire: “no, no, no”. E ripete piano, come se fosse una litania, una nenia, una preghiera: “Dove sei, anima mia?” E si dondola piangendo. “No, no, no, dove sei fuggita, anima mia”. ...

La danza di K.

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  La lucida determinazione di chi ha scelto. Sguardo piantato sull'orizzonte. Come un chiodo. Piantato fino alla capocchia sulla linea d'ombra dell'orizzonte.  È morto il re. Viva il re.  Dietro le schiere. Davanti il chiodo.  "Io lo conosco quello sguardo", disse Alef, "lo stesso di David prima di lanciare la pietra sulla fronte di Golia".  "Io invece conosco il chiodo", disse Tzade. "È lo stesso, fatto di pesante silenzio, che si piantò nel cuore di Aronne per l'improvvisa morte dei figli".  "Io invece", disse Iod, "conosco meglio di voi l'orizzonte e so che tra poco sputerà via il chiodo e si sposterà, lontano".  "Vogliamo dargli una mano?", dissero in coro Pei e Ayin. "Ci penso io", disse Kof e si posò sulle palpebre di K.  Egli perse subito l'orizzonte, lo sguardo, il chiodo e pure la parola.  Si alzò e cominciò a girare su se stesso, a spirale, sempre più vicino al proprio cent...

Yom Kippur

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Dipinto di Marc Chagall Il ragazzo arriva trafelato in sinagoga. Crede ancora di poter rimediare agli errori della sua giovane vita in dieci giorni di rielaborazione e uno di digiuno. Ha lo sguardo stralunato; occhi neri che vagano senza sosta da un oggetto all'altro, da un volto all'altro della sinagoga, come se cercassero qualcosa di ineffabile. C'è un nodo che il ragazzo spera di risolvere in quella giornata di preghiera e ritiro. Più ci pensa e meno “peccati capitali” gli pare di aver commesso, ma è sempre quel nodo a bussargli con insistenza nei pensieri. Si presenta sempre con la stessa frase stentorea, come un giudizio concluso, una sentenza inappellabile già depositata: “L'ho gestita male, molto male”. Poi segue una lista di atti di autoaccusa interminabile, sempre secondo la terribile formula degli “avrei potuto-avrei dovuto”. La condanna è inevitabile e anche il senso d'angoscia per una serie di errori che la sua rigida etica gli impedisce di evitare di at...

Kaddish

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Non può che durare  a lungo quella nota sospesa. Non può che tenere a lungo quel filo, di lino, colore argento.  Ricordi e strazio.  Ma non è strazio anche il violino che  suona e suona, e suona incurante del desiderio  di non ascoltare più?  ? E si tendono mani, bambine.                   Perché è del bimbo la spontanea elevazione.  Plurale e collettiva. Si tendono mani  verso ciuffi d'erba di ricordi mentre la cantilena sostiene.  Energie d'insieme.  Linfe vitali.  Dieci anime,  per innalzare un Nome.  Dieci Iod per dieci Iod per nominare e santificare  lo sguardo arrossato di chi ricorda. Sono dieci mani sulle spalle.  Affaticate.  E carezze e sguardi ritrosi  e volti stretti,  in quella serie infinita  di elevazioni, congiunte  dalla s...

Lamed e Iod

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Lamed e Iod.  Due lettere ebraiche su cui sono stati scritti milioni di pagine e i cui simboli non si è mai cessato di esplorare.  Io non sono certo tra i grandi che hanno soffermato il loro pensiero su queste due lettere.  Ed è con timore che ne parlo.  La Lamed è lettera simbolo sia di insegnamento che di apprendimento. È la lettera graficamente più grande dell'alfabeto ebraico su cui svetta, quasi a dirci che la tradizione (relazione tra chi apprende e chi insegna) e la trasmissione della Torah, sono il punto più alto della spiritualità ebraica. Se unità alla prima lettera della narrazione, la Bet, si compone la parola Lev (cuore). Non esiste insegnamento/apprendimento fuori dal cuore e l'insegnamento/apprendimento sono il cuore della identità e della narrazione ebraica di sé. La Iod (o yud) è la lettera dimensionalmente più piccola. Simbolo di centro vitale, di concentrazione, di fissità generativa del moto rotatorio della vita, non a caso...

Shofar

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Il suono dello Shofar lacera, strappa, stride e lascia una scia di vuoto, che non osi nemmeno pensare di riempire. Il suono dello Shofar non è dolce, né nostalgico, è disarmonia nel ritorno e lascia un silenzio arcano che non osi nemmeno ascoltare. Il suono dello Shofar dà i brividi, febbre antica, Quale voce la potrà placare? Il suono dello Shofar è altro, è l'Altro che viene a depositare semi di silenzio su un terreno mai abbastanza irrorato E tra te e l'Altro non osi nemmeno... 

Il solito poeta

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Nottata di sogni densi di significato e sonno finalmente profondo e ristoratore. Al mattino molto presto il terrazzo è un luogo fatato, silenzioso e calmo. Il cielo commuovente. Sembra invitare a guardare lontano, sia nel presente che nel passato, con morbidezza e soprattutto con speranza.  E poi lui, il seme, il primo seme ti guarda, timido, coperto dalle foglie delle belle di notte che, dopo aver diffuso colori e profumo sotto alle stelle, si cominciano a chiudere stanche. La bellezza stanca, va protetta. Il primo seme di quest'anno da me colto. E forse il primo cielo di quest'anno da me guardato in questo modo. Accogliere le primizie come un dono è uno dei più ricchi insegnamenti dell'ebraismo. Ad ogni primizia, ad ogni frutto assaggiato, ogni cosa colta per la prima volta nell'anno si dedica una particolare preghiera: Benedetto sia tu nostro signore che ci hai mantenuto, conservato, portato fino a questo tempo. E anche se recitata singolarmente que...