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La danza di Ama-no-Uzume e del figlio della luna

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Io l'ho vista. Io c'ero.  Mi chiamano Tsuki no musuko, il figlio della luna, e i miei occhi non vedono.  Mi siedo sulle rocce e suono il mio Shakuhachi, il flauto di bambù, per chiamare le assenze.  E la vista, quella del flauto, mi guida e porta immagini da lontano, oltre l'oceano.  Ascolto incantato tra una nota e l'altra la risposta degli dei.  Mi chiamano Tsuki no musuko, il figlio della luna, ma io non conosco il mio vero nome.  Nè so da quale grembo io sia uscito.  So solo che il mio Shakuhachi canta e incanta.  E il mio fiato, così dicono, porta zefiri dorati nei boschi.  Le foglie, sì le foglie rosse, sotto i miei piedi mi raccontano storie.  Melanconie, rimpianti dei rami, desideri impossibili di tornare ad attaccarsi alla vita.  E suono per loro il mio flauto come a dire: “tornerete, sotto altra forma, alla vita. Tornerà in voi, attraverso voi, la vita. Ora è il momento del riposo”.  E la volpe rossa, tutte le sere al tramonto, si ferma immobile ad ascoltarmi