Stanze del "piccolo male"
Ho smesso d'indicare al mondo vie da me mai percorse e mi sono seduto su una panchina arresa ad ammirare piccioni ed esseri umani becchettare ai miei piedi briciole e detti di speranza. La discesa nell'Ade della parola si fa in silenzio, il volto coperto d'un vello rosso e le mani in guaine di pelli selvatiche ad evitare ustioni. Le cime degli alberi, a volte, si piegavano a coprire la memoria e versi di gracchi lontani risvegliavano lacrime d'argilla sui miei volti immobili. Era il momento dell'oblio; dell'oblò appannato su un abisso sotterraneo ove pesci senza vita producevano scariche elettriche di conoscenza ancestrale. Mi teneva la mano mia mamma, durante quelle mie assenze, quando infante guardavo il vuoto incapace di ritorno. Mi teneva la mano e - ora lo so - piangeva mentre mio padre di là nella stanza dell'angoscia si dondolava lento e opponeva il corpo al timore della mia - della nostra - follia. Nessuno sa - ma io so - delle grid