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(Redazione) - Estratto da "Storia della bambina infranta (dialoghi-nudi)" di Luisa Trimarchi (Puntoacapo ed., 2023) - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  Noi non sappiamo nulla dei percorsi e delle direzioni che la parola poetica prende attraversandoci. Sappiamo per certo che un certo fenomeno di attraversamento caratterizza ogni scrittura che aspiri al dire poetico.  Che sia una parola che dalla nostra interiorità batte forte per emergere o, al contrario, l'ascolto profondo di voci lontane  a muovere il nostro pennino (o le nostre dita sulla tastiera), una cosa però è certa: chi scrive è sempre e solo un tramite tra mondi che solo attraverso di lui/lei possono comunicare.  E per preparare il proprio terreno perché sia idoneo al fenomeno di attraversamento che sto cercando di descrivere, la via è unica: vivere o aver vissuto.  Il non detto e l'esprimibile comunicano? Sì, forse, ma a condizione che il nostro mondo interiore sappia accogliere e trasformare in parola un vissuto che nasce come magma afono. La raccolta di Luisa Trimarchi " Storia della bambina infranta (dialoghi-nudi)"   (Puntoacapo ed., 2023), che oggi

(Redazione) - Figuracce retoriche - 11 - Metafora, Similitudine, Catàcresi

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  di Annalisa Mercurio Dopo la scorsa puntata sull'allegoria, parliamo oggi di metafora e similitudine e aggiungiamo un pizzico di catàcresi che non fa troppo male. Il nome metafora mi fa pensare a qualcosa che sia fuori a metà. Deriva invece dal greco μεταφορά, metaph érō ‘io trasporto’. La metafora è una figura retorica che paragona due cose non correlate tra loro, quindi, metà fuori di testa, lo è. Quando ci cimentiamo con questa figura retorica, dobbiamo fare attenzione a non confonderla con la similitudine , la quale richiede meno sforzo mentale e meno fantasia; quest’ultima infatti, usa parole che definiamo di collegamento rendendo in questo modo il paragone esplicito. Il termine di collegamento più gettonato è ‘come’. Facciamo il primo esempio: se dicessi “ ho occhi come il cielo” starei facendo una similitudine , mentre, se dicessi i miei occhi sono pezzi di cielo, starei facendo una metafora . In entrambi i casi starei tessendo con scarsa modestia le mie doti, ma ai

(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "L’uomo con le zampe d’uccello" di Diego Riccobene

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  Si racconta all’interno del Liber cronicarum 1 , annale stampato a Norimberga in pieno Quattrocento (epoca di meraviglie, vieppiù del meraviglioso), che corresse il 1114 quando una donna partorì un infante bicefalo, metà uomo e metà cane. Gli onesti abitanti delle vicinanze – dopo essersi segnati – avrebbero atteso qualsivoglia accadimento consequenziale; era particolarmente certo che, in occasione di siffatti indizi, fosse rievocato il detto melantoniano: “In ogni tempo Dio ha creato dei mostri per significare in maniera mirabile la sua ira e la sua misericordia, e principalmente la caduta o il progresso di regni e imperi” 2 . Questo, al pari di altri ritenuti senza dubbio alcuno preasagia (ci si riferisce a casi testimoniati di gemelli monocefali, scrofe e oche nate “doppie”, per citarne una minima parte), è trascritto dai cataloghi di prodigi che Jurgis Baltrušaitis ha compilato con dovizia per ricostruire il processo di immaginativa esasperata che infervorò bestiari tardoromani

Dialoghi poetici coi Maestri - 64 - Edmond Jabès

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  Il avait – lui semblait-il – mille choses à dire à ces mots qui ne disaient rien; qui attendaient, alignés; à ces mots clandestins, sans passé ni destin. Et cela le troublait infiniment; au point de n’avoir, lui-même, plus rien à dire, déjà, déjà. Edmond Jabès Tratto da L’appel (1985-1988), in Le Seuil le Sable, Poésie - Gallimard, 1990, p. 396 _____ Aveva – così gli pareva – mille cose da dire a queste parole che non dicevano niente; che attendevano, in fila; a queste parole clandestine, senza passato né destino. E ciò le sconvolgeva senza sosta; al punto di non avere, lui stesso, più niente da dire, già, già. Traduzione libera di Sergio Daniele Donati Il était chauve. Et son regard restait  immobile sur le vide de la parole ,  d'où il tirait – quand il avait de la chance – des petits cris de joie enfantine, comme lorsqu'un vent froid nous réveille du monde des morts. _____ Era calvo.  E il suo sguardo restava immobile sul vuoto della parola, da cui ricavava - quando era for

(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "Sentinella" - su un racconto di Fredric Brown di Paola Deplano

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di Paola Deplano SU DI UN RACCONTO DI FREDRIC BROWN SENTINELLA Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo e era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella cui era abituato, faceva di ogni movimento un’agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia di anni questo angolo di guerra non era cambiato. Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate al lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo maledetto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia…Crudeli, schifosi, ripugnanti mostri. Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di

Sei inediti di Alba Toni

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1 Ombra che Sali nel canale della safena della gamba fredda ombra che salti sui punti della ferita ombra nascosta intravista. Nella poltrona resti in vita e il televisore è sempre acceso. C’è odore di stufa e di castagne. Qui vivi nei miei pensieri e solo per concessione divina mi poni la mano sul volto lo sfiori. Mentre dormo ed è mattino presto il piccolino si spegne tra le braccia mi fissa negli occhi striati. Sono mamma gatta e muoio con lui ogni volta un poco di più nei giorni più duri. Ho tanto nelle pagine e non sarà mai una storia di pagine da togliere solo per raccontare. Ho lutti e nascite ho veleno. Ho un circuito ancora in vita di amore che non impallidisce è amore e ha carattere definitivo. Secchi rossi e delicati. Cosa sono fessure forse. Per quanto ho cercato di scriverne in piedi e seduta ma mai e poi mai sdraiata o inginocchiata se non in luogo sacro. Per quanto ho restituito in prova lacrime e virtù. 2 Ho di nuovo il nervo che tira il sangue a piccole goc

(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "Bomarzo: il parco dei mostri, il bosco sacro" di Annalisa Mercurio

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  di Annalisa Mercurio Vi è un luogo in provincia di Viterbo, in cui nel 1552 il Duca Vinicio Orsini, commissionò un’opera architettonica e statuaria in memoria della defunta moglie Giulia Farnese. La costruzione di questo sito ‘en plein air’ durò circa 30 anni. Vista la complessa personalità del Duca ci sono varie teorie riguardo le motivazioni della sua edificazione. Vinicio Orsini era un uomo eclettico, portato alla contemplazione dei misteri e della natura. Frequentando l'Accademia Vitruviana, viveva a stretto contatto con architetti e letterati del tempo. Il sacro Bosco di Bomarzo inoltre, è nato nel periodo dei poemi cavallereschi (Ariosto, Tasso), che dipingevano un mondo di cavalieri impegnati in lotte contro giganti e mostri, personaggi di grande carattere allegorico che potrebbero aver influenzato l’opera voluta da Orsini. Il Duca, era un uomo tormentato da ‘mostri’ (e chi di noi non va a braccetto con i suoi mostri), tormento che potrebbe essere scaturito da un’esistenza