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"Vale Tutto", una poesia inedita di Anna Segre - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  VALE TUTTO Ho visto l’istigazione andarsene in giro con la maschera da opinione. E la facevano passare come i polacchi che avevano fatto il trattato con Hitler, pensando che valesse l’accordo mentre i carrarmati pochi giorni dopo entravano a Varsavia. E difatti con quella maschera entrava dappertutto accolta come libero pensiero. E offendeva e dileggiava travestita così bene da passare per intellettuale per originale. Creava la distruzione del linguaggio aggrovigliando, era il caos dei significati, era il cavallo di Troia delle parole. Continuando così la cittadella della relazione sarà rasa al suolo e noi saremo nell’impossibilità di dirci l’un l’altro cosa veramente pensiamo. E io sono Enea esiliata col vocabolario sulle spalle nella notte. _____ Raramente mi sono imbattuto in una poesia in cui il simbolo diviene realtà battente ed urticante in modo così evidente. Una scrittura che, pur senza rinuncia ai richiami metaforici forti, lascia poco spazio all'esuberanza di intepretaz

Sotto il granito

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Sotto il granito odori di sale  e memorie fossili di intrusioni vegetali nell'aridità di una parola non ancora formata. Segni della vita, prima della vita - il poeta geologo del suo stesso pensiero senza suono. ______ Testo - inedito 2024 - di Sergio Daniele Donati  

(Redazione) - Fisiologia dei significanti in poesia - 06 - Solo così, la poesia è di coscienza!

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  di Giansalvo Pio Fortunato   Riservare alla poesia dei risvolti estremamente pratici e pragmatici, dopo le istanze ontologiche precedentemente analizzate, pare essere non solo una forzatura, ma anche un ritorno all’ovile abbastanza forzato. Sono queste, infatti, le motivazioni che si adducono rispetto ad un’ostinata e recalcitrante politica poetica che preclude al verso ed alla sua genesi un risvolto pienamente ontologico: non è forse l’Essere il grande residuo di un approccio vitalmente platonico? E la scia platonica, in fondo, non rifiuta deliberatamente l’opportunità poetica come reale possibilità conoscitiva, designandola piuttosto come menzognera? È evidente, allora, che questo sforzo di analisi programmatica è tutt’altro che uno sforzo banale o decontestualizzato o, peggio ancora, appartenente alla vecchia scuola. Il grande problema, soprattutto dei nostri tempi, è l’insensatezza genealogica con la quale ci si riferisce alla poesia: parlare di insensatezza, infatti, può cre

Racines - Radici - שורשים

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  Foto dal web RACINES   Il me semblait immense alors   l'entrelacs de racines couleur cobalt   en haut, au-delà de la voûte céleste.     Un rêve que je me rappelle encore   dans les nuits blanches   comme maintenant la caresse tremblante   de ma mère.    "Peu importe, Sergio, que je parte  tôt ou tard" , me dit-elle   avec une voix d'enfant,     "continue d'écrire,   tu n'as pas beaucoup de choix   de te défendre;   ou le Silence ou la Parole." _______ RADICI Mi pareva immenso allora  l'intreccio di radici color cobalto in alto, oltre la volta del cielo.   Un sogno che ancora ricordo nelle notti senza sonno come ora la carezza tremula di mia madre.   "Non importa, Sergio, che io vada presto o tardi",   mi dice con voce bambina,   "continua a scrivere , non hai molto modo di difenderti; o il Silenzio o la Parola."   _______ שורשים נדמה היה לי אז ענק שילוב של שורשים בצבע קובלט למעלה מעבר לכיפת השמיים   חלום שאני עדיין זוכר בַּ

"La Mancanza" - su un inedito di Alba Gnazi - lettera aperta all'autrice di Sergio Daniele Donati

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  Talvolta è andare lontano, in solitudini senza echi, con la propria sola faccia, un’ombra, un'abitudine a sé da ricostruire. Trovando, scoprendo. Annusando, intuendo. Su una strada simile a tutto e mai percorsa, con anse e limiti ancora mai esperiti.  Senza nulla aspettare, nulla cercare, se non quanto lontano dentro si può, anche stavolta, arrivare.    Si cerca di non pensare, in quel lontano , allo squarcio che smozza l'orizzonte in là e in qua dal vecchio cerro, al tramonto popolato da divinità silvestri, nidi e arsure, stagioni ubriache e nudità fatiscenti, a una Terra di opulenze e mancanze per le quali non offrirsi crisalide, non rendersi sintomo e permanenza, ché la mancanza, sai, la Mancanza  non si misura a parole, a ore, o a lacrime.  Ha l'indolenza tagliente di una frase non scritta, di un telefono preso e riposto, preso e riposto, di una strada con fianchi molli sterrati sotto un sole che preme e non sorprende. Si arriva sempre in ritardo, sulla mancanza.  C

(Redazione) - A proposito della raccolta "L'equilibrio degli scarti" di Francesco D’Angiò (G.C.L. Edizioni, 2024) - Estratto dall'opera con nota di lettura di Annalisa Mercurio

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    Il titolo è già di per sé un’opera d’arte: L’equilibrio degli scarti .  Equilibrio da equus, uguale e libra, bilancia. D’Angiò mette sul piatto della bilancia gli scarti, e dagli scarti crea poesia. De Andrè ci ricordava che dal letame nascono i fiori, ed è così che in questa silloge, parlando di miserie umane, l’autore riesce a fotografare magistralmente il dolore, le mancanze, la vergogna dando loro una dignità.  Dov’è la bellezza in tutto ciò?  Principalmente nella ricerca della parola, mai troppo forte, mai molle.  C’è però, anche una bellezza intrinseca data dal paesaggio che circonda gli eventi e le “ umane passioni ” (per passione intendo passio-onis, da pati, patire, soffrire). L’equilibrio degli scarti è un libro sensoriale nel quale si incontrano odori spesso sgradevoli: canfora, muffa, carne stantia, escrementi, eppure, come dicevo, tutto questo è circondato da fiati di bellezza, facendo sì che lo sguardo del lettore si muova altrove, su microcosmi di incanto come