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Bolognina Bloomsday di Silvia Tebaldi

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Pubblicato su concessione di Silvia Tebaldi Ordine alfabetico non è, pensa Rossi: infatti l’hanno messo vicino a una certa Zoli, che di sicuro non comincia con la erre come lui. Però è una bella vicina, tettona e mora; una che tempestava i concorsi letterari con trucide storie rurali, ambientate al Marecchia, a Tavullia e addirittura a San Leo. Ma anche se non è ordine alfabetico, pensa Rossi, un ordine ci sarà pure - tutto sta a capire quale. Comunque gli hanno sbagliato posto, a lui, poco ma sicuro. Qui c’è gente di tutt’altro genere, scrittori di libri storici e locali, mentre lui era un giallista medievale: famoso per Boccaccio indaga, anche se il premio più importante glielo portò Fra’ Angelico detective. Che strano, pensa Rossi: qui son tutti scrittori ma nessuno scrive; per tutto il giorno solo prosecchi e vaghe chiacchiere, e di sera vengono certi archivisti e giù sangiovese, partite di primiera e gran discorsi su lasciti, enfiteusi e beghe patrimoniali. - Ma chi c...

Obliquo

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Foto di Noelle Oswald Obliquo pensiero, forma e vuoto. Pensiero eterno, stasi e moto. Io infrango, estendo,  affino l'udito,  stanco. L'anima s'accuccia sotto ali  di gabbiano. Che mi portino lontano! (Che mi portino lontano!)

Zain

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Ascolta. Bisbigliano piano nomi ineffabili le sere d'estate. Osserva. Brillano, pugnali di diamanti, grida di bambini nei cortili. Silenzio. Avanza, passo di lince, il soffio del settimo nutrimento Luce. La chiave di bronzo apre lenta sorrisi su volti stretti di cera.

La costruzione del Silenzio (Testamento dello Scrittore)

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                                                                                                    Sono lampi le idee, tuoni i pensieri. Accendono, imprevisti, serrature antiche.  La chiave di ferro, vibrazione e clamore, s'attarda nella mano.  Perché è a tentoni, nella penombra della lingua, che le idee e i pensieri aprono porte a lungo rimaste chiuse.  E, prima di scrivere, spengo lampi, zittisco tuoni.  Perché sia un gesto antico a guidare le mie intenzioni.  C'è una chiave per ogni serratura, un suono magico, per ogni combinazione, un colore per ogni stagione.  Li compongo in un unico quadro, in unico quadro.  Strumenti diversi per la stessa via.  Accendo e spengo l'interr...

La piuma nera

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Hai perso la parola nel bosco. T'era sfuggita di tasca  mentre dormivi, la schiena appoggiata  alla quercia; nera. L'hai cercata, afono, ovunque,  persino nel buco del tronco, fonte di ogni predizione. Il merlo sopra a un ramo  cantava e rideva.  L'hai guardato;  sguardo assassino. La volpe ai tuoi piedi  guaiva.  L'hai cacciata a calci.  Disturbava la tua ricerca. La notte, disperato,  sei tornato a casa.  Sotto lo zerbino. Accanto alla chiave  solo tre cose: unaa piuma nera,  un ciuffo di peli  rossi  e una sola parola:  sciocco.

Vav

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                      Sta. Nel filo teso di lino la fatica di coniugare,                        di far vibrare legati passato e futuro                        con salto d'asta sulla barra dell'orizzonte                        Sta. Nel succo di radici antiche ogni lama,                        ogni scintilla e fiamma di candela                        delle pupille d'ossidiana dei nostri figli

Meditazione in montagna di notte

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Montagne in movimento,  specchi di notte.  Corpo attento,  mente pacata.  Voce sopita,  bisbigli e mormorii.  Origini al futuro connesse,  fili di lino.  Certo del mio maestro,  stabilità e carezza.  Silenzio, spettacolo,  felice solitudine  Presenze diafane,  volti d'angelo, volo planato.  Sguardo profondo. Io, parte del tutto,  immenso silente.  Voci dei boschi  amiche; richiamo al mio canto.  Spazio aperto,  brezza dopo la tempesta.  Respiro unico,  multiforme, felice.  Suono del silenzio,  nenia antica.  Medito ad occhi aperti. Sono dove sono, dove sono già stato

Maschere

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“In fondo progettiamo tutti le nostre piccole strategie per restare in piedi”.  Lo pensavo tra me e me prima, mentre studiavo una sbrodolata di documentazione per l'udienza di domani. Mi chiedevo cosa potesse portare una persona a costruirsi un'immagine di sé così lontana dalla sua realtà quotidiana.  E per cosa, poi? Poche migliaia di euro in più in banca giustificano una scelta così radicale?  Non entro nei dettagli per non farvi addormentare, ma davvero un caso anomalo, dai profili sia penali che di diritto commerciale delicati.  È in verità il profilo umano che mi “disturba”; è ciò che si legge tra le righe di un'esistenza al limite della finzione a suonarmi dissonante.  “si può davvero fingere di esistere?”. Lette le carte, pare di sì. Io lo trovo terribile, ma è possibile.  L'aspetto tecnico della questione è tutto sommato semplice e non del tutto irrisolvibile. Finito il processo, mi chiedevo cosa resterà della necessaria ricostruz...

Fuggono come frecce

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Scritta ascoltando la musica de  L'Estro Armonico di Antonio Vivaldi E via e via fuggono come frecce intuizioni mal partorite nel buio della stanza lasciano scie di fumo grigio sulle pareti biancastre del mio orgoglio che cola come cola inchiostro dal pennino datemi silenzio datemi silenzio vera china del mio sentire silenzio tra le pieghe di una pagina che avrei voluto semplice e non mostra che grinze e accartocciamenti datemi piume datemi piume leggere piume tra dita che battono a ritmi barocchi sulla tastiera e soffi all'orecchio e carezze sulla nuca e via e via tornano dal nulla i pensieri miei piangono lacrime di noia sulla lama di una spada che fu confine e carezza tra terra e cielo

He

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L'anima cetra arpeggia scale e accordi sottili  eleva gridi d'esistenza  d'un cuore bambino  rende possibile nel canto  l'abbraccio al mondo         l'anima soffio protegge         i passi dei figli del Silenzio         separa semi dalla terra         e li lancia verso un cielo che ride  Mi dicevi “io vado”  guardai a terra inizio e fine del mio mondo         Chi non accoglie         tra sterno e clavicole         un vagito neonato?

Cresce un febbrile di Antonella Lucchini

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Pubblicato su concessione di Antonella Lucchini Cresce un febbrile e sotterraneo lavorio un tramestare di grida sottili nel corpo di quest'aria ormai cicatrice sui tonfi d'autunno. È la prima vera cuccia calda della primavera la mia pelle che inconsapevolmente si cuce al filo del sole. Io che non voglio io che sono un mulinello di foglie secche io vento freddo sugli occhi e fischi nelle ossa mi ritroverò ad avere dita di fiori una volta ancora. Una resa tiepida un chiodo piantato.

Eri piccolo

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A mio figlio Gabriel Lo sai?  Il nuovo soffia sempre sull'antico.  E non è vero il detto.  Esiste tanto d'inaspettato sotto il sole.  Dormivi sul mio torace.  Notti insonni in cui  guardavo il tuo lento respiro,  e pensavo  lo sai? Ogni mio passato  poggia sul tuo futuro.

Altalene e scivoli

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E giunse per lui l'ora, servo della parola, di scendere da quell'altalena. Entrò silenzioso nel parco  dell'infanzia perduta. A chi gli chiedeva  del suo andar lontano, rispondeva il suo sguardo sognante e nostalgico: “Guarda, si è liberato lo scivolo!”

L'avvocato va

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In attesa del dispositivo di sentenza l'altro giorno, mi chiedevo cosa fosse quel lieve disagio. Aveva una collocazione precisa nel mio corpo. Si manifestava come una sorta di piccola vibrazione a livello della clavicola destra; un battito, una pulsazione che faceva cucù alla mia coscienza con ritmo sincopato. E portava con sé pensieri; e portava via da me pensieri. Sono uscito un attimo dall'aula per respirare le polveri sottili di Milano (quelle sì che fanno bene). Poi il cancelliere è venuto a cercarmi. “Avvocato l'aspettano per leggere il dispositivo”. Sono rientrato di malavoglia. L'esito era scontato; l'aveva combinata troppo grossa e la sua recidiva certo non lo agevolava. “Carcere”, avevo previsto. E carcere è stato. “Sì, sì, faremo l'appello. Ci sentiamo presto”, ho bofonchiato distratto al condannato, e sono uscito dal Tribunale. Avrei voluto tornare a piedi in studio; Milano era davvero radiosa. Ma dopo qualche metro ho s...

Divertissement

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Scrivere “in levare” e varare piroghe di lemmi in mare; “togliere e limare”, questo bisogna amare se vuoi una scrittura che dura oltre l'ardente pira dell'umano respirare. Non è male il mare, né il fiume di parole, come leggere piume, ma, se a un cuore vuoi arrivare, sia il tuo canto “in levare”, apprendi docile a levigare sospinto lento, lontano da un lieve navigare.

Dalet

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  Johann Sebastian Bach  -   Piano Partita No. 2 In C Minor, BWV 826    (Esec. Martha Argerich ) Davanti a quella porta io mi chino. La scrittura si fa piccola, sempre più piccola; essenziale. Mi dicevi poeta da piccolo. Io, sognante, componevo frasi con le quattro parole che possedevo. “Il cielo, il mare e mamma e papà”, ricordi? Poi mescolai elementi e materie e tu mi dicesti scrittore. Fu un necessario strappo a costringere l'abbondanza dei simboli, ali di rondine per le mie intuizioni, in cassetti inaccessibili, anche a me. Anche a me. Rimanemmo in tre; e ora lentamente svanisci anche tu. Con passo fragile, insicuro, delicato e discreto svanisci. Ti fai piccola ai miei occhi che si chiudono per non vedere. E, mentre a stento varco quella porta, lenta appare in cielo, come scritta di fuoco grigio, la domanda: “Chi mai sosterrà le mie lettere ora, mamma? Chi mai?”.

El m'è mestee (il mio lavoro)

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Se c'è una cosa che del mio lavoro adoro è il suo essere barriera contro le visioni assolute del mondo. Sempre più spesso si leggono interventi di sociologi che spiegano il mondo "solo" in chiave sociologica, di psicoanalisti che lo fanno solo in chiave psicoanalitica, di pedagoghi che lo fanno solo in chiave pedagogica; per non parlare del mondo della religione, della meditazione (che pure pratico e insegno) e delle nuove discipline olistiche da guru.  Persino i linguisti sembrano ridurre spesso tutto a linguaggio. Che poi tutto sia linguaggio è altra questione, che qui non vorrei affrontare.  Noto, in altre parole, una certa difficoltà a passare da un registro interpretativo all'altro; si ricerca una risposta unica, sempre valida, inconfutabile. Il diritto, pur avendo un evidente anelito all'assoluto, sia esso il senso di giustizia o la percezione della sacralità della difesa, o latro, insegna al contrario a valutare sempre ciò che è "l...

L'avvocato pensa

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Messa  in si minore J.S. Bach BWV 232 "Avvocato è con noi, è pronto?", mi chiede il giudice.  Alzo lo sguardo da gufo che prepara la mia discesa in udienza, la maschera che spesso indosso per nascondere l'evanescenza dei miei volti e dei miei pensieri di fronte ai destini di giovani vite.  "Sì certo, dottoressa, quando vuole...".  "Avrà avuto poco tempo per leggere la relazione dei servizi, avvocato. È stata depositata in ritardo solo l'altro ieri. Ha bisogno di qualche minuto per rileggerla?"  "No, grazie dottoressa. Mi è tutto chiaro, possiamo anche cominciare l'udienza".  Il mio sguardo non è più da gufo ora, ma da falco; ho puntato la preda e mi è chiaro che non mi può sfuggire.  Maschera anche questa, pesante maschera; e una leggera sensazione di onnipotenza che mi prende le rarissime volte in cui percepisco la certezza della mia vittoria.  "Bene, allora cominciamo".  Il resto è come ...

Ghimel

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Su musica di F. Chopin - Notturni, nell'esecuzione di Brigitte Engemor  Gattoni a stento, tenace. Sorridi al sogno.  È argento la sorgente,  spirale del tuo movimento.  Licheni ocra intenso,  vene giocose  per la tua verde linfa,  incidono su pietra antica  la mappa del tuo nome.  Io padre e figlio del sogno,  t'attendo fiducioso.  Sguardo da pastore  verso valli d'anelito,  mi dondolo lento.  Il tuo futuro è battito d'ala  tra i miei occhi.  Apro le braccia, silenzioso;  l'onda della vita canta.  “Vieni Gabrièl, ce la fai!”

Il mio Giorno della Memoria

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Ascoltando il concerto num. 1  per violino e orchestra di Max Bruch  ( Menuhin, Fricsay) Quella lunga nota tesa iniziale. E il tuo pianto, papà. Sei milioni di lacrime.  Come puoi contenerle, papà?  Come può fare una domanda simile un bimbo di sei anni?  E la tua risposta, impaurita: “non lo so, Sergio”.  E il violino che saltella di nota in nota; a me sembrano ossa rotte, spezzate, e grida e urli.  “Perché a noi papà?”.  “Non lo so, Sergio”.  E i tuoi occhi, le tue lacrime.  E i miei occhi che non capivano, non capivano.  Né capiscono ora; e saltellano nervosi e umidi da un nome all'altro; anche inventato, ché tanto tra i sei milioni di morti uno che si chiamava così ci sarà stato, no?  Quante volte, papà, ho ripetuto nomi immaginari, incapace di contenere quelli veri.  Una memoria diffusa, straziante e senza esito.  Già, io non contengo. Esplodo.  E mi dondolo lento, gli ...