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Lo si fa vicino (Oblivion)

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L'autore da piccolo Ci vuol grande maestria, ora lo sai, a trasformare in passo di tango il desiderio di fuga, a giocar all'elastico con sogni e rifiuti. Ignoravi allora che più lontano lanci il tuo sassolino più veloce sarà il suo – il tuo?- viaggio nell'abisso. Se fossi stata anche tu bambina lo sapresti: il primo rimbalzo dev'essere vicino a riva , perché si trasformi in ricochet argentati. M'hai lanciato troppo lontano per vedere il mio dorso delfino farsi lucido e umido; per questo ci allaccia ora la sola fantasia d'una musica che torna sui suoi passi con volo delicato. In mezzo al lago però galleggia un fiore di loto e, anche se non le vedi, lo sai, le sue radici si nutrono di limo. Assieme alla carpa baffuta ridono d'un uomo gettato troppo lontano per rimbalzare all'infinito su riflessi di ricordo.  

Timewind (lo sguardo laterale sul nemico)

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Statuette votive della civiltà pre-ellenica Museo archeologico di Atene (scatto di Sergio Daniele Donati) Cominciano sempre le cicale a strappar vesti dal presente; a lanciare richiami da un tempo lontano. Ripetono mònotoni senza sosta finché non crolla il sostentamento dell'illusione, là, sotto il platano. Il ricordo si tinge sempre di non vissuto e chissà se i passi di giada della coscienza possano davvero poggiarsi a un nome. Poi arriva l'aliseo, la berceuse, il messaggero. Ha inizio allora la meditazione; a occhi aperti e ti carezzano stimoli vegetali, profumi di spezie; s'aprono canali nel muro di David -suonava la lira e salmodiava perché scomparisse dalle sue viscere la visione esterna del popolo nemico; sul colle-. Amal-k * è il limite che grida e tatua sulle pelli segni di dissociazione  profonda dall'ala  angelica dell'Uomo. Il vento soffia nuove calci, là,  negli interstizi sottili,  striati da stucchi sgretolati, d'un muro sacro, eretto a secco, a

(Redazione) Lo spazio vuoto tra le lettere - 01 - Un sacchetto di biglie

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  di Sergio Daniele Donati "Scrivere" foto di Sergio Daniele Donati Cosa sia lo spazio e come la nostra coscienza lo possa abitare  è una questione sempre aperta. E, quando per spazio si intende l'universo complesso che il foglio bianco rappresenta per chi scrive, le domande si fanno pressanti.  Con quali (e quanti) segni vorrò arare quel territorio vergine? E quali semi decideremo di piantarvi? Quali significati vorremo lasciare nel dominio del non detto? E quanto -e come-  l'indicibile  condiziona quell'impulso magmatico e rivelatore che chiamiamo scrittura ? La parola sorge da un universo evanescente dai contorni indefiniti. E scrivere non è solo un gesto bambino, come quello di chi mette voraci mani in un sacchetto per estrarne parole, quasi fossero biglie. Allo stesso tempo scrivere rappresenta proprio quel gesto, nutrito però da una consapevolezza antica.  Spesso in chi scrive, specie se poesia, la scrittura si manifesta come una luce, un abbaglio subitaneo

Dialoghi poetici coi Maestri 25. - Cees Nooteboom

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Cees Nooteboom - Immagine di repertorio Di tutti i ritmi trovò giorno e notte il più bello. Uno, due, e grazie a Dio niente tre. Venne solo dopo, quando tutto fu finito, una cifra oscura travestita da zero. Come nasce un'opera d'arte? Quando comincia un mottetto, una poesia, una luce che appare senza fonte? Chi pensa un primo verso prima di pensare? Oppure: come da una palude di riflessi, una lotta nel fango tra un allora e un immaginario ora, sorge quell'unico, visibile istante in cui il tempo non misura quel che svanisce (Cees Nooteboom- tratto da L'occhio del monaco Einaudi, Torino, 2019) _____ Due Il due scolora e opera una scelta tra il passo di ritorno e l'inciampo nell'ignoto. Percorre entrambe le vie  lo sguardo del poeta quando attende un fremito  del polpastrello per dire del tempo trascorso a sublimare - in parola -  la propria tacitazione. (Sergio Daniele Donati - Inedito 2021)

La nascita della fiaba

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  Foto di Sergio Daniele Donati Un passo folle; dello squilibrio del mondo ride un abisso di lava. La resina corteggia cortecce di betulla graffiate dall'orso. Nasce così la fiaba che il mio orecchio -mai bambino- comincia ora a imparare. Sergio Daniele Donati - Inedito ottobre 2021

Ghimel

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"Ghimel" di Sergio Daniele Donati Un passo incerto, oltre la soglia del pensiero, manifestava l'universo di parole che non sapevamo ancora articolare. Prima era Silenzio, e un focolare tiepido accoglieva i nostri vagiti; come resine sui muri. Fu quando il nostro respiro divenne consapevole -e non più condiviso- che attraversammo il deserto. Certo, fu un addio ma ci sosteneva la stessa sabbia; la stessa consapevolezza dell'impossibilità del ritorno alle resine,  ormai divenute ambra, d'una casa in rovina.

Un video per riflettere sulle lettere ebraiche

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"SCRIVERE"  DI SERGIO DANIELE DONATI L'anno scorso il nostro gruppo di studio sullo Alef - Bet ha elaborato, nel corso di un semestre circa, un profondo lavoro sul significato simbolico di ciascuna lettera e dello alfabeto ebraico nel suo insieme.  È stato un lavoro ricco e entusiasmante per tutti noi.  Ogni partecipante ha prodotto disegni, pensieri ed immagini per me sempre molto toccanti. E mi hanno fatto dono di questo video in cui sentirete le loro voci leggere la mia prima elaborazione poetica sullo Alef - Bet stesso.  È con vera commozione che ve lo propongo, sperando di farvi cosa gradita.  Sergio Daniele DONATI  

S'attarda

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"Evanescenza" di Sergio Daniele Donati Cerco tracce e segni d'un passaggio felino su terreni accidentati, senza nulla sapere di ciò che muove le stelle. Non chiedermi consapevolezze  antiche, ti prego.  Mi contento di tradurre in lingua arcana il suono dell'assenza perché risulti utile  a chi ancora ha la forza di cercar gemme nell'umidità della nebbia. È ora che mi ritiri dalla tirannia della parola e che accetti la corda d'un pensiero che s'attarda su cristalli di sale. Tu non piangere, ti prego, l'evanescenza della mia voce.  Era scritto nel primo respiro, prima che fosse per me luce, il giorno del mio silenzio. (Sergio Daniele Donati  -  Inedito ottobre 2021)

Piumami (es ist ein Traum)

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Ho sognato, mamma - ti prego tu ricorda il mio nome e questa parola che rimbalza-.  Nel sogno cantavo  dietro a lacrime attese, sotto a portici piovosi. Il pianto componeva in canto melodie divine. Là ho poi sognato  di sognare il tuo volto  velato da maschere distratte. A loro mi rivolgevo  mentre andavi lontano e chiedevo: "Piumami, piumami ancora".   Ecco la parola che rimbalza: piumami. E non si ferma il pianto.  Il canto sì; è tornato  come pioggia a terra  e tengo le labbra strette per non dimenticare che scossa dia il suono  d'un tessuto che strappa.

Bet

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Porto sulle spalle una domanda che china la testa. Mi dici di andare per tornare diverso; ma la tua voce si perde nel mondo incontaminato dai miei passi. Tu vuoi che io crei lontano dai tuoi infissi. Mi giro, li guardo e ne rimpiango gli spifferi. Erano la lingua dei tuoi silenzi, il canto prenatale d'un grembo accudente. Porto sulle spalle una domanda che china la testa per varcare la tua soglia, che odora d'antico e tace del vento che mi spinge lontano.

Dialoghi poetici coi Maestri 24. - Franz Schubert

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Franz Schubert - Ritratto  Incompiuta Morsi di dubbio; timori -e speranze- d'un ritorno all'inverno delle nebbie stavano là;  nel midollo, nelle arterie. Progetti di scrittura, segni d'abbandono, parole senza seguito; la vita era sogno, allora. Sogno, stasi; e paura. E non c'era mano, padre, sulla mia nuca. "Io me ne andrò, non farò più ritorno; mi dissolverò, come vuoi tu". La penna urlava  grida di sopravvivenza.  Andavo solo in quella palude d'ombra  e il foglio si riempiva di parole scollate,  unte di rabbia. Iniziò allora il mio viaggio; e se ora torno, padre, è per chiederti conto della tua assenza, non per aprire il palmo e mostrarti le gemme raccolte sotto il fango.

Le chiamate (Oblivion)

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"Dreaming" di Sergio Daniele Donati Ho fatto un sogno - in un sogno  non so mai se sia il passato  che bussa o il futuro che langue - e non c'eri, tu. C'erano le voci; quelle che, prima di te, mi indicavano chiaro  il cammino. Le sentivo lontane, evanescenti, né sapevo più decifrare il loro messaggio. Nel sogno scrivevo con dei gessetti  sull'asfalto. Erano lettere sconosciute, simboli arcani. Poi la bimba, comparsa dal nulla, mi guardava. "Sei tornato?", mi chiedeva, "resti?". Io non so perché piangessi mentre le dicevo che le briciole che avevo sparso  nel bosco per ritrovare  il cammino del ritorno le aveva portate via il vento.  La bimba mi guardava, nel mio  oltre me stesso, poi si sedeva tra i gessetti. "Sei tornato," diceva, "resti". Forse ti ho mentito, nel sogno c'eri. Eri nelle briciole; eri il luogo dove ho perso voci e cammino. _________ Las llamadas Hize un sueño -en un sueño nunca sé si sea el p

Alef

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Alef di Sergio Daniele Donati Ho compreso che mi guardi e taci, e attendi il mio primo vagito per passare la tua mano di madre sul mio volto. Ho compreso che il tuo silenzio, è spazio lasciato al vento messaggero, per comunicare il nuovo mondo. Là avrò posto e il mio nome, che ancora non pronunci, navigherà nel flusso di chi mi ha preceduto. Alef, madre eterna, con occhi di giada e sorriso evanescente.

Il femminile

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Ho sbagliato milioni di volte pennini, carte e inchiostri e la chiave appena intuita di quel codice arcano è sfumata in lemmi prigionieri.

Il Canto della Moabita

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  Esce per Ensemble ed.  " Il canto della Moabita" ,  la prima silloge poetica di Sergio Daniele Donati. Un percorso poetico tra sogno, silenzio e parola. Sinossi della silloge

De profundis

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Alla balbuzie di mia madre Là, nello spazio tra due lettere, sorge un'anima bambina. Chiama il silenzio, mi dà la mano; e mi porta lontano. M'accompagna sempre, ride della mia balbuzie e gratta cortecce di alberi ne succhia le resine, e ride, ancora. “Dopo ogni lettera elabora, prima di ogni lettera sogna”, dice l'uomo che posa la sua miopia sul foglio. Dopo ogni lettera la bimba sospira e prima d'ogni lettera, sì, sogna il sogno  d'un popolo celato nei boschi, d'autunno. Nello spazio tra due lettere sorge un'anima bambina e io resto incantato, senza nome, le pupille sui suoi gessetti colorati, e piango perché non esiste più dolce nostalgia di quella che dona un dito fanciullo sui tasti d'avorio d'un piano.

Scandalo

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Testa di fanciullo (Museo archeologico di Atene) Scandalo è parlar piano e dar spazio, tra le lettere, alla saetta del silenzio; è la clemenza per l'amaro che la parola impasta  su una lingua rassegnata. Scandalo è il tacere del poeta; la sua cecità eletta amplifica l'ascolto del cigolio d'una altalena avvolta dalle nebbie d'un infanzia negata.

Tango in terzine (un 4/4 mascherato - Oblivion)

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" Evanescenza" - foto di Sergio Daniele Donati Alzo piano il velo perché le aderenze non strappino tessuti appena cicatrizzati; odorano di muschio e ginepro le tracce ancora biancastre del tuo passaggio, sulla mia pelle; sapeva invece d'eucalipto lo sguardo felino, il tuo, e quel batter di ciglia. Da buon ebreo mi dondolo, sai, quando il ricordo si fa battente  e la memoria ripercorre un intrecciarsi di gambe, un mescolio di fiati - appannavano i vetri d'una stanza, troppo stretta per contener quel grido -. Mi dondolo e spero che la nenia plachi la furia  del nostro mancato ascolto. Da buon ebreo resto a guardia d'un imperativo sovrano che tacita la rivolta  e mi spezza e rende umile il mio humus - funghi gialli su terreno umido -. È stato ciò che è stato e dentro ognuno di noi una voce distinta canta lo stesso canto - in lingue lontane - e chiude palpebre senza peso. La senti lì, ancora viva, trasformata in ricordo quell' antiqua fabula ?  Due solitudini s

Like a bird without a feather - סֶלָה

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R. L. Burnside La mia penna è figlia del freddo e cade ai primi calori estivi; è allora che mi rivolgo alla mia voce nera che dice yeah come il salmista dice סֶלָה   _______ Selah (ebraico: סֶלָה, anche traslitterato come selāh) è una parola utilizzata 74 volte nella Bibbia ebraica e 71 volte nei Salmi. Termine molto difficile da tradurre, il suo significato è intuibile con locuzioni tipo "pausa, e pensa a questo" o "fermati e ascolta".

Conosco il Tango (Oblivion)

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"Infanzie" di Sergio Daniele Donati Conosco il tango, ma non lo ballo, da sempre mi abita una regola - non so da chi imposta - che m'impedisce di star al centro delle altrui praterie. Osservo di lato passi stranieri sulla sabbia della mia evanescenza, questo sì; danze che parlano una lingua che non m'appartiene e fa vibrare le mie scintille. Mi sono riavvicinato poi ai miei alfabeti bislacchi quando la chiamata s'è fatta troppo insistente per essere ignorata. Io da sempre vado lontano, fuggo, e cerco sottoterra un'infanzia mai vissuta. Là tra lombrichi e gemme ho imparato a scavare a mani nude, troppo tardi per essere bambino troppo presto per esser uomo. Per questo fuggo; ciò che manca al cominciamento canta per sempre l'inno dell'assenza e separa e divide e riempie di liquidi collosi le vibrisse d'un uomo-gatto innamorato della luna. Ma forse uso simboli strani per le tue orecchie di cristallo, troppo fragili per sopportare il suono d'una v