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Declinazioni

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Rosa, rosae, rosae      Il ricordo è pioggia acida. Rosam, rosa, rosa      Fosse bastato uno sguardo Rosae, rosarum, rosis      ora non scriverei poesie Rosas, rosae, rosis      sulla morte d'un uomo. ___ Foto e testo inedito 2023 di Sergio Daniele Donati  

Sono nato fuori dal tempo

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Sono nato fuori dal tempo, nel décalage costante di chi brama penombra a primavera,  di chi s'assorda alla cacofonia  delle stelle, la notte. Sì, la notte, m'ha donato il passo  del gambero. Retrocedo, certo, ma guardando davanti un futuro seducente. È il passo di chi  non abbandona il filo di lino che ancora unisce due anime sfatte dal desiderio di limo d'avere un nome  proprio da custodire.  Sono nato  fuori dal tempo, e senza dubbio il mio peccato più che mortale  è non aver imparato  l'arte della doppia gassa o di quella d'amante. E la barca  non assicurata al porto,  prende la deriva. La notte, mentre le stelle ridono sguaiate sul limite tanto umano di chi non sa svaporare nel silenzio del ricordo, io muoio. ____ Foto e testo inedito 2023 di Sergio Daniele Donati 

La discesa sacra (un Salmo balbuziente)

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La stanza azzurra devastata dall'uragano; non resta che qualche goccia d'olio sacro e un simulacro di speranza da tramutare in canto. Le senti anche tu le voci roche e sfatte ripetere il mantra  della fiducia nel celato  e nel passaggio stretto  a una pelle nuova? È un canto corale che ripete senza sosta e centellina resine e cortecce d'eucalipto per le ossidiane dei figli. A terra l'epitelio di biscia, concime del passato su una terra senza soffio. Si dice che poi aleggi ancora un vento divino sui volti delle acque salate dei nostri occhi, e che di lontano il corno che chiamano Shofar laceri tempi e spazi - ancora una volta - per rendere possibile la distanza dall'Altro che chiamano amore. Ho peccato, Moabita, davanti al pozzo io ho peccato. Possa la tua voce ancora una volta risollevarmi il mento alle stelle e dirigere il mio sguardo là, nel flusso indaco senza fine né cominciamento delle generazioni. Toglimi il petrolio dagli occhi e chiama ancora una vol

(Redazione) - Figuracce retoriche - 05 - POLIPTOTO (o POLITTOTO) e FIGURA ETIMOLOGICA

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di Annalisa Mercurio Giunti alla quinta puntata delle figure retoriche di ripetizione, cerchiamo di comprendere le sottili differenze tra poliptoto e figura etimologica. Queste sono talmente legate, che ho tentato di separarle, ma non ci sono riuscita. POLIPTOTO (O POLITTOTO) Ehhhh lo so, che per prima cosa avete pensato a un bel cefalopode, ai suoi bei tentacoli.   Gli animalisti lo avranno visualizzato in mare, e i golosi insensibili in un piatto, al sugo o in insalata; io non ho potuto fare a meno di visualizzare il grande Totò nei panni di un polpo. Il nome di questo mollusco, deriva dal greco πολύπους, polipus, cioè con molti piedi, e ha in parte la stessa radice di poliptoto πολύ (poli) che traduciamo con molti, alla quale aggiungiamo τωτον che, non me ne vogliano i grecisti, andiamo a tradurre semplicemente con casi. La parola Poliptoto , πολύπτωτον polýptoton   significa quindi con molti casi . Il  poliptoto  (o polittoto) è una figura retorica che, all’interno della stes

Un (po') emo

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Ch'io fui lo dirà tra poco lo sguardo degli altri. Forse una reticenza, una parola mancata, un canto solo immaginato sarà la pronuncia d'un nome banale, come tanti.  Di me resteranno le parole dette, le macchie nere - più spesso blu - su fogli bianchi e vergini. Ma non ci sarà testimonianza dei miei strozzi, dei miei singulti di quel torna a me mai (o mal) pronunciato. Né ci sarà persona capace di tradurre in lingua nota il mio grido bambino,  gli occhi gonfi per l'allergia a un'assenza senza senso. Non sarà mai stato detto (tra poco) il mio sentirmi attratto  - troppo piccolo - dall'Altrove, perché il qui e ora era   abisso . Nessuno, ed è un gran bene, porterà traccia del mio piccolo male d'allora, ch'io contenni con forza di gigante bambino,  perché non divenisse stigma. Oh sì, la gente legge, e sospira del Sacro  che a volte palpita,  senza mio merito alcuno, tra i miei versi; ma non sa che quel Sacro fu la consolazione  d'un bimbo per il

Tre poesie inedite di Marina Minet (Teresa Anna Biccai)

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Frammenti A frammenti, padre mio pensami a frammenti, quando il tempo spezzerà la luce con la bava delle iene sul costato e distante da quel luogo che facesti cuore quieto e nutrimento A frammenti, padre mio, cercami a frammenti seminandomi la strada di radici con tre croci sulla schiena intrecciate a coerenze di germogli A frammenti, padre mio, trovami a frammenti come polvere vitale e sguardo vano come canapa imbastita dal maltempo come pioggia tramortita sopra il fango A frammenti, prendimi a frammenti come l’agnello addormentato accanto al lupo come il giglio sotto il gelo di novembre coi pensieri festeggiati dai sorrisi dei bambini senza gioia né dolore a frammenti, tutta amore Quando un giorno Quando un giorno verrete alla mia tomba non bussate come solita è la gente accendete la presenza col silenzio mormorando un perdono controvento fra le gore delle siepi. Fischiettando, rallegrerete i marmi con l’olio della lampada sul capo versato a goccia piena, d’abbondanza per rischiarare

Due poeti allo specchio (Mirjana Zarifović e Sergio Daniele Donati)

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SE TU TORNASSI Se tu tornassi porteresti il tuo vaso, la tua cenere, e io conterei, conterei il tuo vaso, esso viene dal tuo tempo di cenere, viene al mio tempo. Altri vasi nella casa del santo. Nei suoi occhi, le nostre bianche mandorle, come sono entrate? Solo divinando, solo ignorando, è il sapere, lo dicono i tripodi, lo dicono i sassi. Spremi la mandorla sulle nostre bocche, santo, la rosa è scarlatta, portala alla signora che leviga il vento. Ai crocicchi, dove ogni cosa è in disparte, e prima del corpo e prima del sangue… lei incede rugginosa e si volta alle campane ieri rinnegate, alle fosse le appende e leviga le rose. Forse hai un nome signora? Ah, ma scendono, nelle campagne camminano, vengono… Santo, santo del pane caldo dei morti, sulle tue labbra le nostre parole sanguinano, pronunciale tu, dalle a noi, non le abbiamo mai udite. È l’ultimo giorno, noi andiamo dietro l’ombra a impiegare i vasi, tu spremi la mandorla, spremila, e diremo che è buona. Mirjana Zarifović  -

Cinque inediti di Annalisa Barletta

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I Se ti sfioro come nelle fenditure d'aprile l'agguato proclive di un'impazienza di luce febbrile scopre il fiore,  la nicchia delle incarnazioni; se apro le palme al respiro di giunco per mostrarti tregue salse ai battesmi del cuore nell'ora in cui più di corda l'accidia sciaborda; tu sciogli l'anatema della mappa il guanto accucciato sotto l'inverno dissennato della bocca. Salpare dovremmo venerando la congiuntura equatoriale delle braccia, quando anche dall'ultimo lampione l'affanno si spegne; libare dovremmo all'Aviatore piumoso del nostro buonvento. II È un denso cercarsi d'onde il nostro sconfinare lento in peripli di nudi vocativi dove è vello promesso la fatale congerie dei respiri la ridondanza amorfa dei baci, la quête esule di un'Argonautica d'amore. III Ho il passo sbalestrato degli iniziati all'asma dei torbidi, ai commerci di gambe che s'implìcano in dedali e misture. Sento scucirmi il nodo del

Due poeti allo specchio (Donato Nitti e Sergio Daniele Donati)

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Molti fiumi ho attraversato alla ricerca di prodigi ed incanti sussurrando inevitabili versi ogni volta meno sorpreso. Svanisce il tuo profilo come la memoria con l’ultimo testimone l’arcobaleno dopo la pioggia un sogno che nessuno sogna i riflessi sul mare dopo il tramonto. Molti fiumi ho attraversato o forse un solo fiume Molti libri ho letto, o forse un solo libro. Molti uomini sono stato. O forse un solo uomo. DONATO NITTI - INEDITO NOTA BIOBIBLOGRAFICA Donato Nitti , nasce, studia e vive a Firenze. Sagittario ascendente acquario, viaggia molto, soprattutto in Cina. Avvocato con una passione per il diritto dell’arte, un dottorato di ricerca, alcuni incarichi di insegnamento in università di Shanghai. Un amore per la filosofia esistenzialista ed uno per il buddismo giapponese, inizia a scrivere nel 2010, all’inizio soltanto per sé. La pandemia è un momento di riflessione, e nel tempo dilatato di quei momenti matura l’idea di pubblicare una raccolta di versi. Dall’incontro con Mariel

Quattro inediti di Stefania Giammillaro

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  I Nascondimi al volo dei gabbiani senza segreti da interpretare Preservami da ogni male che riservi per me e inginocchia la colpa al tuo abituale mentire Sorprendimi con labbra serrate al buio di ogni promessa e tienimi stretta per non cadere nelle tue mani Accarezzami dal conforto racchiuso nel non decidere se amarmi - per non soffrire o odiarti - per non morire II Viaggiano le perplessità dei giorni lungo le crepe degli affanni La vanità dei tempi muore impigliata tra setole arrese agli ultimi capelli bianchi Dimentico è il volo sulla curva delle scale quando la terra trema al rintocco e il coltello è mantra devoto sui ceri spenti di un baccanale III Hai votato la tua sacra bellezza al tabernacolo di amanti senza tempo Hai offerto seni turgidi all' usuraia abbondanza e crocifisso imeni su lenzuola di salvezza Hai ingoiato scelte e rimorso la lingua prima dell'ultimo bacio a stampo stendendo panni di ghiaccio su gomiti viola appesi al balcone delle marionette Oggi dimentichi

(Redazione) - Di poesia, di poeti, di Custodi Acque fossili abbracciano la pioggia (di Alfredo Rienzi) - una nota di lettura di Anna Rita Merico

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Acque fossili abbracciano la pioggia (1) Acque fossili abbracciano la pioggia benedicente e calma: falsa laguna collegata al mare da un sommerso canale dal tempo in cui vacillarono i regni di Edom, senza cadere. Pare una donna, dal volto coperto, che oscuramente fissa nel calmo specchio d’acqua uno spazio screpolato incolore del cielo occidentale in equilibrio in mezzo alle colonne della misericordia e del rigore la sta osservando il poeta, l’iniziato al mistero minimale immobile, scolpito come l’alfa e l’omega sul marmo funerario ne riconosce il profilo dei seni e il fiato fecondante i nudi piedi e bianchi, sotto la palude di fango e siero, il profumo d’issopo. Solleva l’orlo della lunga veste: la pelle è cifrata da fuoco e morsi di bestie d’ogni specie: non una traccia venga cancellata non una parola vada perduta. ______ NOTA DI LETTURA (di Anna Rita Merico) Contenere l’acqua appena dopo un diluvio arcano, un diluvio colmo di esiti di Creazione. Lattea acqua di umidi tremori. L’acqua

Canta!

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Poesia dedicata a A. L. "che la sua memoria sia per me nuvola" (...) mi lascia poi qui indifferente l'altrui silente percezione d'una nera realtà piana. Ma potrei sedermi per ore commosso e immerso nel calore dalle sabbie nere del tempo a sentire la narrazione del mio bimbo circonciso dalla Verità della Vita . Prende respiro se detta, sai, la vita; la meditazione solitaria dà vero frutto se immersa nel mare agitato dalla condivisione. Canta! Io vado nel luogo chiaro da cui si torna mai nati .   Testo - inedito 2023 -  di Sergio Daniele Donati

A vele spiegate (in morte di Odisseo)

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Non fu la corda a legarmi all'albero per evitare  delle sirene le seduzioni,  ma un controcanto una nenia piana, un basso continuo  - un suono metallico - che tracciava senza pietà l'imperativo d'un ritorno  già scritto nelle crepe d'una vita non più mia. Si torna morti  - dai campi e dai fumi  della Storia, dal miele  rancido delle storie, dalle contro-narrazioni, si torna già morti - e il luogo incolto del ritorno è coperto di sterpi, erbe maligne, come parole; come la Parola. Son tornato per non raccontare,  non per esser detto nei millenni. Cercavo l'oblio e ho trovato un poeta accecato  - e fui io a cavargli l'occhio  perché non dicesse;  ma disse , e per sempre - No, non fui legato da funi, né furono guardiani  i miei compagni. Mi tenne stretto  un contro-incanto l'illusione di ritrovare in Itaca l'assenza del Tempo, la sepoltura d'un uomo indegno. Son tornato però  a tender archi, uccider Proci e provocare infarti a cani troppo fe

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 19 - Una piccola riflessione a ruota libera (la vocina)

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di Sergio Daniele Donati Ogni volta che inizio a scrivere un articolo per questa rubrica, più che per altre, la vocina si fa sentire.  È una specie di bisbiglio, un sussurro che mi chiederebbe di dargli corpo e sì, forse, persino nome. Il più delle volte volutamente fingo di ignorarla e allora lei monta in cattedra con le domande irose: chi ti credi di essere per commentare quell'autore? che certezza hai della validità di ciò che stai per dire? chi sei, in fondo, tu per dire ciò che menti ben più elevate della tua hanno già detto, per affrontare temi su cui si sono diffusi i migliori pensieri? Tu, Sergio, proprio tu, perché scrivi sulle altrui parole? Questo è il tenore del questionamento della vocina  che, ad esempio, tace molto di più se scrivo poesia, quasi a concedermi, come lo si concede a chiunque, la facoltà di parlare del mio mondo. La  vocina , al contrario, mi rimprovera e mette in allerta solo quando mi accingo a scrivere note di lettura, recensioni, impressioni, in altr

Il quarto Alef-Bet - 19-22 da Kof a Tav

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E stai attento  a non cadere, amico mio, non ora, che a scimmiottare il Giusto si perde  il potere di dir sì   alla vita.  Esiste un principio  che in pochi hanno trascritto,  ma nutre il midollo  e le schiere metaforiche  che sono amiche delle tue argille. È il principio  che si chiude con il sigillo  nel fuoco sacro. Siamo figli d'una parola   che ci vincola  a dire la nostra presenza all'altro, il nostro goffo  tentativo d'adesione all'Altro. Stai attento a non cadere, amico mio, non farlo ora, prima di aver detto eccomi , di aver detto  הִנֵּנִי alla falce d'Alef crescente che vedi di lontano. Non cadere ora, amico mio, il passaggio è stretto e non ceda il tuo cuore alla tentazione dell'ultimo respiro. C'è, dopo il sigillo, un silenzio che prepara il ritorno  alla narrazione più antica.  È il silenzio di gestazione,  l'attesa prolifica nella quale  potrai immergerti solo se - come dicevo - il Giusto coinciderà per te con l'Inimitabile

Ha'Etz (l'albero)

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Fuori della mia caverna anche io ho percepito un sottile e invisibile bisbiglio di silenzio,  ma non avevo ossimori con cui coprirmi i volti né la saggezza del Profeta. Mi bucai allora il timpano perché l'ascolto di ciò che tace tra le sabbie potesse dirsi perfetto. Lì misi radice. Io sono l'albero che non dà frutto, e non mi rivolto  a questa realtà.  Non si ferma  il pellegrino sotto  la mia ombra e l'uccello dalle piume blu rifiuta le mie fronde. Eppure la radice  si estende per chilometri nel deserto; fino alle acque del pozzo ove si ode, se si conoscono i sentieri fragili delle lacrime  d'olio sacro, il canto senza fine - né inizio - della Moabita. La radice si nutre d'un canto liquido  e le mie cortecce stillano resine che tu non puoi vedere perché - ricordi? - il tuo primo sguardo  sulla mia mano  callosa fuggì, della mia parola afona,  la fatica d'esistere. ______ SERGIO DANIELE DONATI Inedito 2023

Oblivion (una vez más)

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Foto di Man Ray Che poi - forse - né tu né io sappiamo cosa sia la libertà vera  da quella parola. Oh, certo, conosciamo ogni ritmo vitale,  ogni scoppio, ogni di bolla di sapone da cui seguiamo la dispersione iridescente d'un amore mai nato. Conosciamo - dicevo -  ogni nostra culla lenta, e i dondolii al ritmo caucasico della dimenticanza. Sappiamo, sia io che te, nasconderci dietro -  o dentro - un passato per noi troppo simile per esser detto. Ma, se questa melodia - questo Oblivion senz'oblio - ci lega i polsi e c'intreccia gli sguardi, è perchè di quella parola fummo - e forse siamo ancora  - schiavi. Io ne divenni il servo per averla detta e tu per non averla voluta sentire; e non so, sai, quale dei due domini, delle due catene - dire l'indicibile o ignorarne l'esistenza - sia più facile da spezzare.  La melodia che ci allaccia - so che lo sai - è discendente e piana come un rifiuto; un no  detto lento guardando l'iride di chi lo riceve riempirsi di catara

(Redazione) - Dissolvenze - 18 - BLINDSIGHT

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di Arianna Bonino La verità è sopravvalutata. C’è poi da fare sempre la famosa distinzione tra vero e reale, se proprio andiamo a vedere. Poi ci sono i sogni, che sono veri, perché appunto davvero li facciamo, ma non sono reali. O forse sì, dipende. Si potrebbe dire: sì, però una certezza l’abbiamo: se una cosa la puoi fotografare, vuol dire che è vera e anche reale. Può essere, ecco, meglio se la mettiamo così: può essere. Questioni che si sollevano incappando nel lavoro del fotografo  Doug Rickard, americano, nato nel 1968 e purtroppo già morto, un paio d’anni fa. Laureato in storia americana e sociologia all'Università della California, San Diego, Rickard è il fondatore di American Suburb X e di These Americans , siti web di raccolta di saggi sulla fotografia contemporanea, oltre che di archivi fotografici storici. Rickard, come di molti grandi fotografi si può certo dire, cercava quell’istante che, isolato dal contesto, fosse significante, avesse pregnanza, s’imponesse. Gli int